domenica 14 ottobre 2018

L'ATTACCAMENTO AL DOLORE E IL LASCIAR ANDARE

Tutti vorremmo stare bene, è indubbio. Eppure può succedere di soffrire 
terribilmente e impiegare molto tempo a lasciar andare la sofferenza dovuta, per
 esempio, ai distacchi e ai torti subiti. 
In realtà, avere un atteggiamento positivo, stare bene o non soffrire inutilmente
 (sono termini generici, per rendere l'idea) può spaventare, perché affaccia al
 nuovo, all'imprevedibile e mette addosso una certa responsabilità; la responsabilità
 del proprio benessere.
Ognuno ha la propria storia di vita, che traccia le proprie soddisfazioni, le proprie
 paure e anche la propria tendenza alle “illusioni”. Ognuno è condizionato a
 determinate cose e non ad altre, in base ad eventi vissuti per davvero; nel passato.
Il presente può essere qualcosa di diverso, a seconda di quanto siamo morbidi e
 disponibili a osservare e a lasciar andare. 
Sicuramente il passato ha un grande valore e determina il nostro presente.
 Elaborare ed accettare gli eventi di vita che hanno provocato dolore e sofferenza,
 dare contatto a quel dolore, è fondamentale per il benessere. Può essere un
 percorso complesso, restano le cicatrici, in quanto l'elaborazione sana le ferite,
 libera il corpo e la mente e conduce verso una ritrovata leggerezza, fiducia e libertà.
Quando il dolore diventa negatività, delusione, paura, non significa che lo stiamo
 accogliendo. Significa che, in fondo, c'è il mantenimento di un'illusione, di un bisogno 
che preme per essere soddisfatto così come era al tempo. Ma ora non è più come ieri. 
Il presente porta circostanze diverse. 
Convivere con determinate cicatrici non significa continuare a stare nel dolore. 
Le ferite passate possono essere lenite in solitudine. Certo, probabilmente
 vorremmo che le lenisse qualcun altro al posto nostro, ma ciò non è più possibile, 
o almeno, quell'anelito di rivalsa per i dolori passati non può essere soddisfatto
 pienamente dall'esterno, a meno che non lo soddisfiamo principalmente noi
 dall'interno. Sembra scontato, proprio perché fondamentale.
Il presente ci chiama a cosa non è ancora stato. Sintonizzarci sul presente con 
le richieste passate può pericolosamente portare a rivivere e perpetuare questo
 passato. Ogni volta che si rivive un “copione” la domanda potrebbe essere: hai trovato soddisfazione dentro prima di cercare fuori? Hai chiesto e hai seguito 
te stesso prima di chiedere all'altro”. Seguire ciò che sentiamo, a volte, non significa 
farci dirigere all'esterno dai nostri bisogni. Ci sono bisogni che possono essere
 soddisfatti dall'esterno, altri no. I bisogni della nostra parte bambina, ferita, 
quelli necessitano di noi, dell'adulto che c'è in noi. 
L'esterno è apparentemente una scorciatoia, che può far tornare invariabilmente 
a noi stessi e alle responsabilità adulte verso noi stessi (quando risuccedono le stesse 
esperienze, il copione).
Tornando all'attaccamento al dolore, questo può essere letto anche come
 l'attaccamento ad un passato, con l'illusione che questo passato possa tornare 
ed essere risolto proprio come volevamo che fosse risolto allora (secondo le nostregiuste” necessità). Questo "attaccamento" porta a frustrazione, negatività,
 sconforto, attesa, lamento. Può bloccare il tempo nella nostra vita, 
mentre il tempo in realtà continua a scorrere, fuori. 
L'attaccamento al dolore e la negatività possono essere letti inoltre come
 aggressività autodiretta. Invece di mordere la vita, mordiamo noi stessi, 
ci consumiamo, non accettiamo ciò che è stato, non ce ne facciamo una ragione; 
ci ostiniamo a voler cambiare ciò che non può essere più cambiato. 
Il passato non può tornare indietro. Possiamo gradualmente provare ad accettarne
 la realtà e man mano noteremo gradualmente un presente diverso.
Quando "per non soffrire una volta se ne soffre cinquanta", c'è una non accettazione.
 Per andare oltre è necessario soffrire autenticamente per quella prima volta 
(prima simbolicamente), arrenderci a quella sofferenza, liberare il dolore sapendo 
di poterci affidare a noi stessi in questa liberazione. 
Il dolore autentico non è negatività, non è giudizio; è lasciare che il proprio
 bambino venga consolato dall'adulto che è in sé, affidarsi a quell'adulto 
che ora si è. A volte può essere molto difficile affidarsi a sé, potrebbe sembrare
 impossibile, si potrebbe credere di non essere abbastanza. E' un'illusione anche
 questa, perché ognuno è abbastanza, è prima..di tutto il resto.
Per esempio, quando si piange, le domande potrebbero essere: “come piangi? 
Quanto piangi profondamente? Stai piangendo per ciò che vorresti e non è, 
oppure stai piangendo per ciò che stato e che sai che ormai è andato? 
Stai piangendo per tenere o per ciò che stai lasciando andare?”.
Lasciar andare porta a incontrare sé stessi.
Il bisogno di rivalsa e di giustizia può essere proporzionale ai torti o alle mancanze 
subite in passato. Il rischio è quello di perpetuare queste mancanze.
A questo proposito, concludo con una frase che diceva pressapoco così:Se devi scegliere tra la giustizia e la gentilezza, per favore a te stesso: 
sii gentile”

Risarcire i dolori antichi non è più possibile, 
ma vivere la bellezza del presente, questo si. 
Liberarsi non è chiedere, ma accogliere sé stessi in un nuovo presente. 
Un dono che possiamo farci ogni giorno.


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